CAPITOLO V

Considerazioni conclusive: dalle teorie economiche alle politiche del lavoro

5.6 Conclusioni

Secondo quanto Freeman e Soete (1994, pag. 163) sostenevano agli inizi degli anni Novanta, "i prodotti ed i servizi ICT hanno costituito, negli ultimi trent'anni, la categoria dove i prezzi sono calati maggiormente... nonostante il trend inflazionistico generale". Ciò "basta a dare consistenza all'idea che un'economia basata sull'ICT potrebbe avere un buon successo nel mantenere ancorati i prezzi. Ma può generare posti di lavoro?".
In altre parole, potrebbe mettersi in atto quel meccanismo di "compensazione" che tramite l'aumento della produttività, via diminuzione dei prezzi, andrebbe a favorire la crescita dell'occupazione sostenuta da un parallelo incremento della domanda di beni e servizi?
Più che affidare "ai posteri l'ardua sentenza", ci limitiamo a costatare che a livello microeconomico (di azienda e di settore) le tendenze occupazionali mostrano un segno positivo, ma a livello intersettoriale potrebbero intuirsi anche impatti di tipo negativo (come la riduzione di occupati nel settore dei trasporti e del commercio tradizionale).
Quanto l'esito finale dia risultati soddisfacenti sul fronte occupazionale dipende (come più volte ribadito nel corso della tesi) soprattutto da:

Alla luce di quanto finora esposto, individuiamo quattro tipi di politiche tecnologiche amiche dell'occupazione (Pianta, 1998) che potrebbero essere sviluppate ulteriormente: Prima politica. Le tradizionali politiche tecnologiche e per gli investimenti hanno sostanzialmente incentivato innovazioni di tipo labour saving, che in ogni caso le imprese avrebbero avuto interesse ad introdurre.
Pertanto, gli sforzi vanno concentrati sulla realizzazione di innovazioni di prodotto, che creino nuove attività economiche e favoriscano il cambiamento strutturale dell'economia verso settori capaci di creare nuovi posti di lavoro nell'industria e nei servizi avanzati. A tale riguardo, elemento fondamentale è lo sviluppo di nuove forme di finanziamento per i progetti più innovativi, che difficilmente potrebbero accedere ai meccanismi odierni di erogazione del credito.

Seconda politica. La rilevanza della conoscenza e dei processi di apprendimento nelle economie dei Paesi sviluppati deve far pensare alle politiche per l'istruzione, per la formazione e per il trasferimento del know how, come ad un sistema che produce e diffonde nuovo sapere.
In particolare, vanno incrementati gli incentivi (di vario genere, ad esempio fiscali e salariali) per le imprese e gli individui che decidano di investire nell'apprendimento; si potrebbe far sì che gli investimenti in capitale umano ricevano un trattamento equivalente a quelli in capitale fisico.
Misure specifiche sono poi necessarie per la fascia di persone a bassa qualificazione più colpite dai problemi della disoccupazione tecnologica, che altrimenti rischierebbero di essere tagliate fuori dal mercato del lavoro per le scarse opportunità di apprendimento loro offerte.

Terza politica. L'aggravarsi della disoccupazione è legato ad un quadro di politiche macroeconomiche restrittive ed a ristrutturazioni produttive a livello globale: la crescita economica non porta più necessariamente ad una crescita dell'occupazione.
Una politica tecnologica amica dell'occupazione dovrebbe saper individuare le attività economiche con un contenuto innovativo che hanno le maggiori potenzialità di aumentare i posti di lavoro attualmente disponibili.
Gli esempi più ricorrenti sono la multimedialità ed i nuovi servizi basati sulle reti di informazione e comunicazione.
Lo Stato in questo campo deve operare come "consumatore intelligente" e, quindi, deve anticipare le evoluzioni della domanda e dell'offerta, favorire "l'incubazione" di nuove attività e l'incontro tra saperi e competenze diverse ed, infine, deve intervenire come organizzatore e regolatore tempestivo dei nuovi mercati emergenti.

Quarta politica. La natura della new economy e della new society è caratterizzata dall'informazione e dall'apprendimento.
Tutto questo suggerisce di riconsiderare maggiormente le forme e gli strumenti per le politiche pubbliche, sviluppando alcune innovazioni istituzionali, che ristabiliscano l'equilibrio tra cambiamento sociale e tecnologico.
Esiste la necessità di riorganizzare l'uso del tempo e delle forme contrattuali (tipiche ed atipiche) che lo regolano.
Le attuali divisioni del tempo (da quella tra formazione e lavoro, a quella tra impiego e tempo libero) devono lasciare posto ad altre maggiormente flessibili ed articolate, che vedano il succedersi di periodi di formazione, di lavoro e di free time. C'è anche la possibilità di diminuire l'orario di lavoro (settimanale, annuale o nel corso della vita) per distribuire i guadagni di produttività (che risultano dal cambiamento tecnologico) e per permettere i processi di apprendimento. Si potrebbe poi favorire l'ampliamento del non profit del "terzo settore", ove il lavoro salariato si intrecci all'impegno volontario, producendo servizi, che aumentino coesione sociale e qualità della vita, non potendo queste essere fornite dal mercato o da imprese orientate al profitto.
Infine, la riduzione del tempo di lavoro può stimolare la domanda di nuovi servizi multimediali, legati all'apprendimento, che richiedano un elevato uso di tempo da parte di chi li usa.

In conclusione, per lo sviluppo di politiche tecnologiche amiche dell'occupazione serve una notevole innovazione istituzionale ed un ampliamento dell'intervento pubblico rispetto agli obiettivi tradizionali di competitività e riduzione dei costi.
Questi ultimi hanno soltanto peggiorato gli esiti occupazionali dei processi innovativi realizzati dalle imprese.
Allo stesso tempo, occorre affiancare le azioni attuali dal lato dell'offerta (che sostengono le capacità tecnologiche delle imprese), con nuove azioni di stimolo della domanda e di organizzazione dei mercati che privilegino le innovazioni di prodotto e l'aumento della produzione, aumentando così l'occupazione.
Infine, si devono programmare nuove politiche, legate all'affermarsi delle tecnologie ICT ed adeguate ai processi di cambiamento economico correlati. Esse devono intervenire sulla formazione e l'apprendimento, sulla riduzione e redistribuzione del tempo di lavoro, sulla ricerca di nuove risorse per finanziare politiche pubbliche capaci di redistribuire i benefici promessi dal progresso tecnico a tutta la collettività.

 


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